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RELAZIONE SUI CANI DEI CINGHIALAI IN PROVINCIA DI GROSSETO


La legge 281 del 14 agosto 1991 chiama i cani "animali d'affezione". Non li distingue in categorie: cani da caccia, cani da compagnia, cani da
guardia, ecc.
Ma i cani dei cacciatori di cinghiali non sono animali d'affezione, sono soltanto e semplicemente strumenti.
Strumenti per uccidere come i fucili, le battute e l'organizzazione di una squadra di caccia. In quanto strumenti e non esseri viventi, il rispetto è una categoria a loro non dovuta.
Le leggi di tutela, nazionali, regionali, comunali, non vengono applicate per i cani dei cinghialai.
Il maltrattamento è diffuso, standardizzato, sclerotizzato al punto che questi cani nessuno li vede, sono invisibili o, meglio, tutti li vedono ma come parte inamovibile del paesaggio.
Per questo motivo non può essere considerato il caso singolo ma tutto il sistema.
Infatti:
 
Estate
In Maremma, ovunque ci si muova, si faccia una passeggiata, si passi in macchina, ai bordi dei paesi, alle periferie delle città, in mezzo ai campi, nelle pinete e nella macchia, isolate, nascoste, si incontrano baracche di legno putrido e lamiere, protette da cancelli, circondate da reti, oscurate da teli verdi, inaccessibili alla vista se non fosse per le fessure e gli squarci.
In ognuno di questi canili abusivi, che sono centinaia e centinaia, vengono rinchiusi cinque, dieci e anche più cani, soprattutto piccoli seguci, spinoncini e meticci di questi.
Sono i cani dei cinghialai, allevati e utilizzati per la caccia al cinghiale.
Cani lasciati soli, prigionieri di gabbie di un metro e mezzo per due con tre o quattro animali, costretti al letargo forzato tutto il giorno e tutti i giorni per l'intero periodo di chiusura della caccia. Ci sono cani rinchiusi in box completamente al buio, come murati vivi.
Il sole crea temperature insopportabili d'estate e i cani non hanno difesa neppure all'ombra delle basse, spesso inconsistenti tettoie dove il calore ristagna a causa delle lamiere da cui sono circondati. A volte la tettoia è tanto piccola e trasparente da permettere un'ombra illusoria.
Ma ci sono cani che non hanno neppure questa protezione e sono sottoposti al sole diretto perchè legati a catena fissa, corta poco più di un metro, la quale consente loro soltanto di saltare dal tetto della cuccia fino a terra e viceversa. Questi cani sono costretti a cercare un'impossibile sollievo stringendosi alla parte in ombra della loro cuccia o scavando una buca, profonda al massimo quindici centimetri, sotto di essa.
Le cucce sono ripari rudimentali di legno marcio e infetto, bidoni di lamiera, oggetti precari, qualcosa di indefinibile e incompleto. I recinti sono fatiscenti, messi insieme con materiali di ogni tipo, anche lamiere di eternit, senza attenzione per gli spunzoni di ferro che possono ferire (casi di cani dilaniati); le fogne sono inesistenti, gli escrementi e i resti di cibo putrefatto si ammassano sul terreno che non può essere decentemente lavato perchè manca di pendenza, di pavimentazione, di scoli. La derattizzazione viene effettuata senza precauzioni (si notano cumuli di sostanze chimiche ai bordi dei recinti) e i topi avvelenati catturati dai cani possono risultare a loro volta venefici (casi di cani morti).
L'ambiente dove sono ammassati i cani risulta pertanto un luogo igienicamente precario, un pericoloso serbatoio di microbi per gli animali e per l'uomo.
Ma sapendo quanto grande sia il bisogno di bere per i cani, considerando soprattutto le condizioni in cui sono costretti a vivere, colpisce in modo particolare l'assenza dell'acqua e, quando se ne scorga un po' in fondo ai secchi, questa si presenti gialla e putrida.
Sono quasi del tutto assenti i recipienti per il cibo. Pagnotte di pane secco e pezzi di pizza giacciono per terra tra gli escrementi.
Eccezionalmente si distinguono nella polvere resti di crocchette e, ancora più eccezionalmente, pastoni di pane bagnato con avanzi di pomodoro, piselli e bucce di mele.
La cosa che più sconvolge è però la solitudine, la segregazione di questi animali, l'isolamento fisico e psicologico, la mancanza di rapporti e di contatti con l'uomo, la costante inedia, il tedio, la cupa tristezza che si legge nei loro occhi.
Come potrebbe essere altrimenti? Esclusa la caccia invernale, la loro esperienza di vita è unicamente quella catena o i pochi metri di terra sporca.
Il giorno e la notte, il sole e la pioggia cadono inesorabili su quella catena e su quella polvere e la presenza umana limitata al nutrimento (?)  e alla pulizia (?) si consuma in una manciata di minuti neppure tutti i giorni.
Un estraneo che si avvicini ai recinti riscontra all'inizio atteggiamenti aggressivi, denti in mostra, abbaiare furioso, salti contro le reti, a volte schiumare dalla bocca. Ma, man mano che ci si accosta, i cani si ritraggono, quasi fuggono, coda tra le gambe, il loro atteggiamento diviene timido, di soggezione, temono perfino un gesto di carezza. Sono contemporaneamente aggressivi e paurosi e questo suggerisce l'idea che vengano trattati duramente dai proprietari sia per l'addestramento alla caccia, sia per insensibilità e spietatezza.
Stremati dai tanti pasti saltati, dalle tante ferite riportate, dalle tante cucciolate partorite, dalle tante angherie sopportate, questi cani sono il simbolo della barbarie umana riconosciuta come sport e addirittura chiamata arte.
Il concetto di benessere animale, secondo i parametri fisiologici, ecologici ed etologici suggeriti da vari studiosi (Dr. Roberto Marchesini, Dr. Enrico Moriconi veterinari bioetici) per questi cani non soltanto viene ignorato ma arrogantemente sostituito da un attivo,  costante e consolidato maltrattamento.

Inverno
Durante l'attività venatoria i cani sono frequenti vittime di incidenti, spesso anche molto gravi, a volte mortali. Indicativo è il fatto che circa il 70% degli studi veterinari organizza, nel periodo di caccia, turni serali e festivi.
La vita media di un cane da caccia al cinghiale è assai breve, si parla di circa 6 anni.
Questo è da imputare alle numerose ferite che vengono procurate all'animale durante la battuta di caccia e alle carenti o tardive cure che gli vengono prestate.
Va poi considerato che i cani curati negli studi veterinari non sono la totalità, perchè è sempre in auge l'abitudine di "rattoppare" personalmente il proprio animale (sono rivelatrici, fra le altre,  le istruzioni di pronto soccorso suggerito dal sito www.passionecaccia.it  che consigliano un antidolorifico in gocce da somministrare al cane dopo averlo "trattato" senza anestesia, nonchè le "Operazioni di primo intervento sui cani feriti dai cinghiali" a cura del Dott. Gian Luigi Vannucci che consiglia in caso di sfondamento del torace di "reinserire con delicatezza all'interno i lobi polmonari che si riconoscono perchè di colore rosa, possibilmente utilizzando dei guanti di lattice..." e "la rottura della milza va affrontata per controllare l'emorragia annodando lacci o fili alla base dell'organo..."). Da leggere anche il sito dove i cacciatori si svelano da soli: http://groups.google.it/...
Ci sembra sia ammissibile un'equivalenza fra queste pratiche e la vivisezione.
Alla fine di ogni cacciata restano sul territorio una miriade di cani sparsi che non sempre è possibile recuperare e che frequentemente capita di trovare sul ciglio della strada, investiti da un'auto. Ma anche per quelli feriti può essere compromessa la salvezza in quanto restano a lungo senza soccorso (vedi indagine dell'Università di Pisa). Sappiamo che molti animali vecchi, inabili, incapaci, sventrati o mutilati vengono sommariamente soppressi con una fucilata (indicative le dichiarazioni su vari fori di discussione internet)

Alcuni animali sono stati trovati impiccati nei boschi.
D'altra parte è sufficiente consultare i siti dei cacciatori per rendersi conto delle grandi qualità umane di cui dispongono.
Ecco alcuni stralci allegati.

Dal quotidiano Il Tirreno dell'11 luglio 2002:
"...durante questi avvenimenti sono state abbattute scrofe con porchetti pronti a nascere..."  "A parere del CPA ci sono diverse soluzioni prima di togliere la materia prima ai cacciatori paganti."

La caccia al cinghiale (Dall'incontro con un esperto: il capocaccia Emilio Bei):
"Per cacciare il cinghiale occorrono dai 15 ai 50 cacciatori, mediamente 25-30 persone, ed ognuno deve rispettare delle regola precise.
C'è un capocaccia che è responsabile della battuta, i canari che sono i cacciatori con i cani, le poste che sono i cacciatori che sparano ai cinghiali e i braccali.
... I cani possono provare a stanarlo ma a volte vengono feriti anche gravemente..."

Tale sequela di espressioni e azioni, viene chiamata sport e finanziata dal Coni a suon di miliardi.
I cinghiali vengono uccisi con fucili che sparano proiettili equivalenti, come calibro, a quelli da guerra.
Gli animali alloctoni (importati dai paesi dell'est) pesano fino a 150 kg, che si sono anche ibridati con i maiali procurando una sorta di inquinamento genetico, immessi irresponsabilmente a migliaia dai cacciatori per la loro attività venatoria, hanno sopraffatto il cinghiale autoctono di 70 kg. compatibile con gli habitat nostrani. Per esempio La Provincia di Como il 12/12/2003 riporta testualmente che "nel Triangolo Lariano gli ungulati fino ad una ventina d'anni fa erano assenti ed ora stanno prolificando in maniera abnorme".
Questi cinghiali vengono accusati di determinare situazioni di pericolo per le persone, le opere, le attività agricole e la viabilità stradale (vedi vari articoli dei quotidiani) e perciò si promuovono crociate per la loro uccisione (chiamate eufemisticamente e ipocritamente: prelievi, abbattimenti) anche durante i periodi chiusi alla caccia.
Per queste cacce in deroga vengono utilizzati ancora i cani prolungandone lo sfruttamento.
Per evitare questa caccia in deroga, che aggiunge crudeltà a crudeltà, durante la quale si uccidono scrofe gravide, lattanti, piccoli, indiscriminatamente, si potrebbero attuare interventi incruenti come installare depositi d'acqua vicino alle colture da proteggere, predisporre aree con foraggiamenti dissuasivi, delimitare zone con recinzioni elettrificate, provvedere alla contraccezione ma, soprattutto, vietare il trasporto di cinghiali vivi. Nella sola regione Piemonte sono attivi, per esempio, 144 allevamenti. Ma sappiamo bene che il mondo venatorio e i suoi alleati non vuole frenare ma intensificare la mattanza e non è disposto ad accettare metodi di controllo.

Brevi cenni sulle battute di caccia al cinghiale
La battuta di caccia al cinghiale si svolge in giorni fissi, su indicazione degli ambiti territoriali di caccia di pertinenza. Sommariamente può essere descritta così: i cinghiali sono animali dalle abitudini notturne, di giorno stanno rintanati nella boscaglia. Pertanto, ampie porzioni di territorio vengono circoscritte da cacciatori alla 'posta' mentre i battitori, una volta tracciate le piste, lanciano i segugi verso le prede, per spingere i cinghiali verso i cacciatori appostati.
Per legge non si può sparare agli animali con 'munizioni spezzate', cioè cartucce a pallini o pallettoni (un cinghiale ferito diventa molto pericoloso) ma solo con proiettili 'a palla'. Si tratta quindi cartucce con potenza maggiore rispetto alle cacce tradizionali. Inoltre i cinghiali spesso vendono cara la pelle, rivoltandosi contro ai segugi che li braccano e talvolta ferendoli con le loro zanne.
Grande attenzione va posta, da parte dei cacciatori, sia per quanto riguarda il loro campo di tiro, sia per i movimenti nella boscaglia, in luoghi spesso scoscesi, dove anche una scivolata o una caduta può avere effetti pericolosi e talvolta tragici. Per ciò che concerne i possibili incidenti di caccia, le battute al cinghiale presentano dunque un indice di pericolosità più alto rispetto ad altri tipi di caccia vagante.
Non va dimenticato tuttavia che si sono verificati incidenti di caccia dovuti a disattenzioni di altro genere: ad esempio causati da una cinghia del fucile con fibbie o attacchi difettosi e conseguente caduta dell'arma i cui colpi possono scattare, per effetto del rimbalzo sul terreno, anche se il fucile era 'in sicura'. Per questo i buoni cacciatori controllano costantemente l'efficienza dell'arma. (Dall’articolo de "La Nazione" di Forlì - "Sparare al cinghiale, l'attività venatoria più pericolosa").
Chi volesse avere una minima conoscenza di cosa sia la caccia al cinghiale e quanto elevata sia la coscienza dei cacciatori, di quanto sangue innocente scorra sotto le loro risate e la la loro violenza, osservi queste fotografie:


Addestramento
Esistono recinti di addestramento in territori boscosi, dove vengono liberati uno o più cinghiali e quindi i cani che, in questo modo, vengono educati a fiutare la preda e a stanarla. Il cinghiale o i cinghiali devono difendersi dai cani dalla mattina alla sera.
I cani che non si dimostrano buoni per la caccia, secondo le conversazioni tra cacciatori del gruppo http://groups.google.it/... "li sopprimono il che avviene quando non sono più tanto cuccioli" ma "se sono cacciatori dementi li abbandonano"  "i cuccioli invenduti li sopprimono"   "se non lavora bene può essere il più dolce e carino di questa terra ma finisce in una buca o in un rifugio, deve fare così perchè non può nutrire e tenere tutti i cani brocchi che incontra"  " Displasia? Ma che radiografia, se il cane è storpio gli si spara" "Cacciatori che li uccidono senza pietà magari con una mazzolata in testa per risparmiare la cartuccia o chi spreca la cartuccia portando via mezza testa al suo cane pensando poi di averlo fatto fuori e poi, allontanandosi, se lo ritrova dietro grondante di sangue, senza un occhio e con mezzo naso..."

maggio 2014


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