Questa è una storia triste, di quelle di cui cerco di non parlarvi
mai. Ma oggi è giusto, perché forse è l’unico modo per dare voce alle
vite di quelle creature che, per noi uomini, non hanno peso. Oggi vi
racconto qual è il peso di una piccola vita, una di quelle verso cui
spesso ci sentiamo giustificati a provare la più assoluta indifferenza,
se non addirittura disprezzo. E più della morte in sé, ecco il vero male
del nostro mondo: l’indifferenza, quella bestia cieca e irresponsabile,
che ci fa pensare che, in fondo, era solo un piccione.
***
Il pomeriggio era favoloso: il cielo terso, un sole splendente, il caldo
stemperato da un vento continuo e vigoroso; le strade di campagna si
aprivano varchi in mezzo ai campi verdeggianti e alle cascine, ed era un
piacere percorrerle pedalando. Vincevo la resistenza del vento, mentre
lo sforzo si trasformava in soddisfazione ad ogni metro, il sudore che
si asciugava immediatamente nelle folate. Le rare macchine sfrecciavano
veloci, fin troppo, ma se ne stavano a debita distanza su quelle strade
pulite ed immerse nella campagna, dove vedere contemporaneamente più di
tre automobili era molto raro. Nelle orecchie: il rumore del vento,
dell’acqua del Volano che costeggia la strada, i cinguettii degli
uccelli, passando accanto agli alberi e ai cespugli.
A un certo punto avevo notato qualcosa, in mezzo alla strada, alcuni
metri davanti a me. Un ammasso di penne e piume grigie, già
completamente appiattito: l’ennesima vittima della strada, di quelle
macchine che sfrecciano nella solitudine di una strada sgombra e non si
preoccupano minimamente di essere un pericolo per qualcuno, per
qualcosa. Chi mai potrebbero uccidere?
Un gatto, un riccio, una nutria… un piccione? Beh, ma sì, ma poi tanto i
piccioni volano, si sposteranno, non occorre neppure rallentare, non c’è
motivo… tanto volano, adesso volerà, adesso si sposterà… e invece no, il
piccione non aveva fatto in tempo, probabilmente incapace di valutare la
velocità di un’automobile. E il conducente? Cosa avrà pensato? Forse
che, in fondo, era solo un piccione. Che peso può avere la vita di un
piccione?
Ora vi racconto il peso della vita di quel piccione, perché la storia
non è finita.
Avvicinandomi in bici all’ammasso di penne in mezzo alla strada, già
completamente schiacciato perché su di esso erano passate più e più
auto, ho visto qualcosa che mi ha colpita profondamente, facendomi
provare una compassione che a stento riesco ad esprimere a parole.
Giù di strada, al di là della linea della carreggiata, c’erano un altro
piccione adulto e, accovacciato lì accanto, un piccolo pullo di
piccione, che pigolava disperato. Il piccione adulto immobile, stava
fissando l’ammasso di penne sulla strada: chissà da quanto tempo erano
lì, chissà quando era successo l’incidente. Anche il piccolo pullo, con
il becco già molto pronunciato, il corpo coperto di piumette grigie
dalla sfumatura ancora gialla, fissava quello che era stato uno dei suoi
genitori… e il suo pigolare, quel suo richiamo continuo, disperato e
shockato, mi ha spezzato il cuore.
Quando mi sono avvicinata a piedi (sono arrivata a pochi passi da loro)
il piccione adulto è rimasto fermo, con la precisa volontà di restare a
vegliare il suo piccolo sopravvissuto e l’altra metà della sua vita,
improvvisamente spazzata via. Lo sapevate che i piccioni sono monogami e
che le coppie che formano durano per tutta la loro vita? E ora quel
piccione era lì, a vegliare su un ammasso di penne: tutto ciò che era
rimasto dell’altra metà della sua vita. E il piccolo pullo, senza uno
dei suoi genitori, sarebbe sopravvissuto?
Sono rimasta lì alcuni minuti, senza capire cosa dovevo o potevo fare.
Era chiara l’intenzione dei due uccelli nel voler restare lì, incapaci
di spiegarsi cosa fosse successo all’altro membro della loro famiglia. O
forse lo capivano fin troppo bene, e non riuscivano ancora ad andarsene.
Intanto era già passata, sfrecciando come un ossesso, qualche altra
macchina… che, vedendomi, aveva accuratamente evitato di passare troppo
vicina ai due uccelli. Già, perché lì c’ero anche io, e la mia vita vale
molto di più di quella di un piccione, non è vero?
Tutto quello che alla fine ho potuto fare, è stato spostare dal centro
della strada quell’ammasso di penne, appoggiandolo tra l’erba, a qualche
passo dall’adulto e dal piccolo, in modo che almeno non tentassero di
raggiungerlo in mezzo alla carreggiata. Non so che ne sarà di quel pullo
che pigolava, né so cosa ne sarà di quel piccione adulto che stava
vegliando sul dramma che aveva colpito la sua famiglia.
Avrei dovuto raccoglierli, forse? Non lo so, quello che so e che ho
capito bene, è che in quel momento erano sconvolti come lo saremmo noi
di fronte alla perdita di un genitore, di un membro della nostra
famiglia. Questo era quanto valeva la vita di quel piccione.
Non sono qui per sostenere la realizzazione di un’illusoria utopia dove
ogni creatura al mondo possa vivere felice, morendo di vecchiaia: so
bene che l’equilibrio naturale si basa su ben altri meccanismi, ai quali
è difficile, forse impossibile, sottrarsi. Ma
non possiamo più
permetterci di pensare che esistano vite senza peso, senza valore.
Perché ciò a cui ho assistito, nella sua drammatica tristezza, è stata
la più viva testimonianza che ogni vita ha un peso, un valore,
un’importanza fondamentale per qualcun altro. Fosse anche quella di un
solo piccione.
Venerdì 9 maggio 2014
Silvia Riberti
http://rumoredifusa.blogspot.it/2014/05/il-peso-di-ogni-vita-era-solo-un.html