Il pallone aveva percorso una traiettoria strana, un
effetto particolare che Sandrino non aveva cercato.
La sfera sfiorò le teste di due difensori, e apparve troppo tardi al
portiere, che neppure accennò a una reazione. Sandrino per un momento
rimase di sasso, incredulo. Poi le sue gambe si misero a correre da
sole, lungo la linea, che quasi travolse il guardalinee. Esultava con il
dito indice alzato verso la folla assiepata dietro la ringhiera.
Dalla panchina gli correvano incontro, schivò tutti.
Neanche i suoi compagni riuscivano a tenergli dietro. Era pazzo dalla
gioia. Chi l’avrebbe pensato, solo un anno prima, quando giocava in
serie D?
Ora correva, correva, non sentiva la fatica, non si
fermava mai, mai, mai... Sì io... sì lui, aveva segnato lui il gol, era
felice, i riflettori, le bandiere, il suo nome urlato dalle ragazze con
l’ombelico esposto sul pancino...
Che giorno! Era un ragazzo fortunato, lo sapeva, ma non doveva sentirsi
in colpa per niente e per nessuno. Per niente e per nessuno. Se lo
ripeté due volte, mentre lo stadio ancora rimbombava del suo nome. Anzi,
doveva sentirsi orgoglioso. La proposta era stata subito accettata da
tutti, ci tenevano tutti, in squadra, a non sembrare menefreghisti e
viziati. Il cinquanta per cento del premio partita per sostenere
Telethon. Lui era stato il primo a dire di sì, cosa gli costava, in
fondo... E poi quale fortuna, Sandrino, eh? Venir pagato per divertirsi
a giocare a palla!
Anche il piccolo Mozart si divertiva un sacco a
giocare a palla. Rincorreva con le zampine una sfera di gomma che
qualcuno aveva messo nella sua gabbia. Non aveva mai segnato un gol, non
aveva molto spazio, ma era felice. E poi non si fermava mai, mai, mai...
Lo trattavano bene, gli davano da mangiare e lo lasciavano
divertirsi. Un tempo giocava con altri amici, ma a uno a uno vennero
portati via. Era rimasto solo, era solo già da diversi giorni.
Mozart era un piccolo topo di ceppo Sprague-Dawley, che si divertiva a
giocare a palla. Nello stabulario si accese una luce. Un guanto di gomma
verde lo afferrò delicatamente. Mozart si stupì, ma era tranquillo. Lo
avevano sempre trattato bene, non potevano fargli niente di male.
Nel laboratorio era accesa una radio. Un giornale
qualunque, la voce diceva: con la generosità di tutti coloro che hanno
accolto l’invito di Telethon, sono stati rifinanziati sette laboratori
di ricerca fermi per mancanza di fondi. Dalla comunità scientifica un
“grazie” soprattutto al mondo del calcio. Si sentivano tutti più buoni,
quella sera.
Mozart era un topolino bianco pieno di voglia di vivere e giocare a
palla, ma non capiva il linguaggio degli umani.
I suoi piccoli e mobilissimi occhi videro allontanarsi la gabbia in cui
era stato così bene. La pallina di gomma era ferma in un angolo. Sperava
di tornarci a giocare, ci sarebbe tornato di sicuro. Poi annusò l’aria,
c’erano degli odori che non aveva mai sentito.
Lo portarono in una stanza. C’era una luce strana e
alcuni oggetti sul tavolo riflettevano come un luccichio.
Mozart era un piccolo topo di ceppo Sprague-Dawley, e non capì. Guardò
per l’ultima volta il suo carnefice con occhi riconoscenti e fiduciosi.
Mentre alla radio Joey Ramone gridava “What a
wonderful world”.
Giugno 2020